Non so come mi sia venuto in mente un post del genere.
Sicuramente c'è una componente di emulazione della Zitella, non ho problemi a dirlo.
Ma siccome non distinguo il taffetà dalla crinolina, non potevo commentare gli autfit delle star.
Quindi commento i make up.
Dopo essere approdata sulla gallery di style.it, che ringrazio sentitamente per avere trovato un modo easy per scorrere le gallery, invece di di fare come Leiweb che ti costringe a ricaricare la pagina tutte le volte con picchi di nervosismo inauditi, ho elaborato il commento supremo.
Prima di tutto chemminkia sono i Sag Awards?
Alzi la mano chi li aveva mai sentiti prima!
Wikipedia dixit: "...sono premi che vengono consegnati ogni anno dallo Screen Actors Guild come riconoscimento per le migliori interpretazioni degli attori che costituiscono l'associazione (=se la menano tra di loro). Il prestigioso premio è considerato secondo solo agli Academy Awards, ai Golden Globe, ai BAFTA e agli Emmy Awards"
Solo a questi? A me dal conteggio risultano almeno quinti, non secondi, ma sono dettagli.
Prima di esporvi l'Oggi Mordo-pensiero, lascerò che vi facciate un'idea da soli/e.
Acide si nasce, e io, modestamente, lo nacqui.
Ma anche un paio di calci nel culo presi nella vita aiutano sempre a migliorare.
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giovedì 31 gennaio 2013
mercoledì 23 gennaio 2013
Ricordi selettivi
Vi è capitato recentemente di pensare che gli anni '90 fossero ieri, e invece poi vi siete resi conto che sono VENT'ANNI FA?
Non so come, ci siamo bruciati gli anni 2000. O forse li abbiamo rimossi in maniera selettiva.
Quando me ne rendo conto? Quando una mia cugina, nata nel 1991, fa la patente, si laurea e va a vivere da sola. Quando un mio cugino del 1994 fa la maturità. Lui, quella palla di grasso che coccolavo sentendomi la Cugina Grande. Adesso ha la barba. E i rasta. E potrebbe prendermi in braccio tranquillamente.
Ma usciamo da questo momento di vecchiezza imperante, per dirvi, che forse era meglio dimenticare ANCHE gli anni '90.
Perché?
Gli anni '90 sono stati il medioevo della moda, il decennio buio che non riusciamo ancora a ricordare con tenerezza. Per adesso è sola vergogna, in attesa che diventi tutto vintage.
E questo non vale solo per il mio armadio (che anche negli anni '90 ha avuto dei momenti difficili), ma anche per quello delle star.
Me l'ha ricordato questa gallery su leiweb.it, di cui vi regalo solo due pillole:
SJP, la regina dello stile, o meglio, la donna che ha incrociato sulla sua strada le migliori stylist del mondo. Da S&TC in poi. Prima era solo una ragazzina con tatnti capelli e neanche tanto bella. Se volete delle prove, vi dico solo Footloose.
Anche io avevo un giubbetto di jeans informe del genere, ma il mio era verde acido, della Benetton. Quanto mi ha vestito! Mi dispiace che adesso stia fallendo per colpa mia che mi rifiuto di indossare maglioni che fanno i pallini dopo 10 minuti che li indossi di colori fluo
Ah, e anche i miei capelli avevano delle note fluo, non preciso il colore perchè li ho provati tutti.
Diciamo che le scelte fashion di Gwyneth sono sempre state piuttosto altalenanti, del resto negli anni '90 stava con Brad Pitt, che cazzo gliene fregava di vestirsi bene?
Nella foto di sinistra ricordiamo il taglio alla Gwyneth, che prima o poi abbiamo desiderato tutte, non negatelo.
Fatevi un giro sulla gallery, c'è di che ridere.
Non so come, ci siamo bruciati gli anni 2000. O forse li abbiamo rimossi in maniera selettiva.
Quando me ne rendo conto? Quando una mia cugina, nata nel 1991, fa la patente, si laurea e va a vivere da sola. Quando un mio cugino del 1994 fa la maturità. Lui, quella palla di grasso che coccolavo sentendomi la Cugina Grande. Adesso ha la barba. E i rasta. E potrebbe prendermi in braccio tranquillamente.
Ma usciamo da questo momento di vecchiezza imperante, per dirvi, che forse era meglio dimenticare ANCHE gli anni '90.
Perché?
Gli anni '90 sono stati il medioevo della moda, il decennio buio che non riusciamo ancora a ricordare con tenerezza. Per adesso è sola vergogna, in attesa che diventi tutto vintage.
E questo non vale solo per il mio armadio (che anche negli anni '90 ha avuto dei momenti difficili), ma anche per quello delle star.
Me l'ha ricordato questa gallery su leiweb.it, di cui vi regalo solo due pillole:
foto da Leiweb.it |
Anche io avevo un giubbetto di jeans informe del genere, ma il mio era verde acido, della Benetton. Quanto mi ha vestito! Mi dispiace che adesso stia fallendo per colpa mia che mi rifiuto di indossare maglioni che fanno i pallini dopo 10 minuti che li indossi di colori fluo
Ah, e anche i miei capelli avevano delle note fluo, non preciso il colore perchè li ho provati tutti.
foto da Leiweb.it |
Diciamo che le scelte fashion di Gwyneth sono sempre state piuttosto altalenanti, del resto negli anni '90 stava con Brad Pitt, che cazzo gliene fregava di vestirsi bene?
Nella foto di sinistra ricordiamo il taglio alla Gwyneth, che prima o poi abbiamo desiderato tutte, non negatelo.
Fatevi un giro sulla gallery, c'è di che ridere.
venerdì 18 gennaio 2013
Chi ben comincia
Non so se siete quel tipo di persona che si fissa su
Chi fa/non fa -completare con azione a piacere- a Capodanno, lo fa/non lo fa per tutto l'anno.
Ecco, io ho deciso che per quest'anno è meglio CHE NO, non ci credo.
Dico subito l'unica cosa positiva dell'ultimo Capodanno: ho dormito fuori casa. Se questo è un indizio, significa che il 2013 è l'anno buono perché io mi trasferisca in quella che è ormai diventata "Villa Speranza". Villa Speranza è la nuova casa che stiamo costruendo io e il Cavaliere Impavido, e si è meritata questo titolo non perché sia una vera e propria villa, quanto per la speranza d'entrarci un giorno o l'altro. Comunque, Capodanno o non Capodanno, questo è L'Anno in cui succederà, altrimenti il suono della sirena di Lost che mi turbina nella mente mi farà definitivamente impazzire.
A Capodanno ero circondata da amici. Molto bene.
Poi?
Basta. La serie positiva finisce qui.
Alla 1.31 mi è esploso un malditesta fulminante, cosa che mi capita raramente, ma se deve essere un segnale, è stato bello forte.
Ho cercato di resistere, ma un'ora dopo circa ero a letto. Significa che nel 2012 non sono mai andata a letto dopo le 3.
INSOMMA, SONO VECCHIA.
Chi fa/non fa -completare con azione a piacere- a Capodanno, lo fa/non lo fa per tutto l'anno.
Ecco, io ho deciso che per quest'anno è meglio CHE NO, non ci credo.
Dico subito l'unica cosa positiva dell'ultimo Capodanno: ho dormito fuori casa. Se questo è un indizio, significa che il 2013 è l'anno buono perché io mi trasferisca in quella che è ormai diventata "Villa Speranza". Villa Speranza è la nuova casa che stiamo costruendo io e il Cavaliere Impavido, e si è meritata questo titolo non perché sia una vera e propria villa, quanto per la speranza d'entrarci un giorno o l'altro. Comunque, Capodanno o non Capodanno, questo è L'Anno in cui succederà, altrimenti il suono della sirena di Lost che mi turbina nella mente mi farà definitivamente impazzire.
A Capodanno ero circondata da amici. Molto bene.
Poi?
Basta. La serie positiva finisce qui.
Alla 1.31 mi è esploso un malditesta fulminante, cosa che mi capita raramente, ma se deve essere un segnale, è stato bello forte.
Ho cercato di resistere, ma un'ora dopo circa ero a letto. Significa che nel 2012 non sono mai andata a letto dopo le 3.
INSOMMA, SONO VECCHIA.
martedì 8 gennaio 2013
Per Giovanni
In una sera strana di gennaio, un vento caldo è arrivato e se l'è portato via.
Lui, che ogni giorno veniva a giocare con me quando ero piccola, orgoglioso come se mi avesse creata lui.
Lui che ci scarrozzava da bambini su una jeep rudimentale su e giù per i campi, a scavezzacollo. Forse andavamo a 30 all'ora, ma a quell'età sembra fortissimo.
Lui, che ha creato il suo piiiiccolo impero in cui ancora noi tutti mangiamo.
Lui, che ha saputo osare negli anni del boom economico.
Lui, che non era una persona facile con i figli, ma con i nipoti dava il meglio.
Lui, che ha litigato con lei tutti i giorni, ma ha pianto come un bambino quando le ha dato l'ultimo bacio. Sapevate che anche gli adulti piangono?
Lui, che a 80 anni si arrampicava sugli alberi per potare i rami, e quando lo rimproveravi ti guardava con nonchalance e ti diceva "Andava fatto, perché non dovrei?"
Lui, che non era certo un santo, ma era Giovanni.
Giovanni era mio nonno, e ora non c'è più.
In realtà la sua mente non c'era più da tempo, era già volata altrove, mentre il suo corpo restava aggrappato alla vita con la stessa tenacia con cui ha vissuto. Un giorno era lui, divertente, malinconico, arrabbiato dopo essere rimasto solo a ottant'anni, ma sempre lui. Il giorno dopo non c'era più, portato via da qualcosa che non si può curare senza danneggiare qualcos'altro, e allora che fai?
Lo condivido con voi non per voglia di esibizionismo, ma per necessità: ho il bisogno fisico di mettere in ordine le parole che mi vorticano nel cervello, che mi hanno tormentato questa notte e non mi hanno fatto dormire. Parole che so non riuscirò a coordinare in un discorso coerente, parole che se pronunciate non hanno lo stesso significato. Parole che se dette sembrano terribili, eppure sono vere.
Perché Giovanni, negli ultimi due anni di vita ci ha messo di fronte a una verità tremenda: noi non vogliamo invecchiare, per non finire totalmente rincoglioniti su una sedia a rotelle, imbottiti di farmaci per sopravvivere, senza vivere davvero. Non vogliamo sapere che nelle vite delle persone che abbiamo amato e ci amano, non c'è spazio per seguirci ventiquattr'ore su ventiquattro, anche se loro vorrebbero e sono stati schiacciati dal senso di colpa. Schiacciati fisicamente. Non vogliamo sapere che il giorno dopo che saremo finiti lì, qualcun altro avrà occupato la nostra casa e l'avrà resa irriconoscibile, tanto noi non torneremo mai più.
Questa è l'ultima dura lezione che ci ha lasciato e ci ha fatto paura. Io ho avuto paura.
Se fossi stata saggia, non avrei vissuto la mia vita come se lui non ci fosse già più, ma sarei andata a trovarlo più spesso. Ma con i se non si va da nessuna parte. E me lo dicevo già quando era ancora vivo, per costringermi ad andare alla casa di riposo. Ma faceva male anche allora: ogni volta che lo vedevo, mi sedevo vicino, mi giravo dall'altra parte e piangevo. Dove sei Giovanni? Mi chiedevo. Cosa ci fa qui il tuo corpo, mentre tu non ci sei? Sei tu una forma nuova di Giovanni, che io non riconosco?
Ti ricordi quel giorno di primavera, quando siamo usciti nel parco, e ho spinto la sedia a rotelle su per quella salita e quasi morivo per lo sforzo? E tu che mi prendevi in giro? Poi siamo arrivati in un angolo al sole, abbiamo raccolto un mazzo di viole di campo e mi hai stracciato alle carte. Cinque volte. Avresti dovuto farmi giocare meno con le bambole e più a briscola, non so manco contare i punti.
Sono le tue quelle mani. Ti ho fotografato con quell'aggeggio infernale che non capivi.
Ciao Giovanni, ti ricorderò nell viole di primavera, nel suono della fisarmonica che hai suonato per farmi ballare, nei muri della casa che hai costruito per la tua famiglia. Ti ricorderò nelle giornate di vento caldo, nell'odore del fieno e delle caldarroste che hai bruciato per me.
Adesso so che questi ultimi due anni sono stati il tempo che ci è stato dato per abituarci all'idea che dovevamo lasciarti partire. E' un bel regalo, non tutti sono così fortunati.
Ma fa un po' male lo stesso.
Lui, che ogni giorno veniva a giocare con me quando ero piccola, orgoglioso come se mi avesse creata lui.
Lui che ci scarrozzava da bambini su una jeep rudimentale su e giù per i campi, a scavezzacollo. Forse andavamo a 30 all'ora, ma a quell'età sembra fortissimo.
Lui, che ha creato il suo piiiiccolo impero in cui ancora noi tutti mangiamo.
Lui, che ha saputo osare negli anni del boom economico.
Lui, che non era una persona facile con i figli, ma con i nipoti dava il meglio.
Lui, che ha litigato con lei tutti i giorni, ma ha pianto come un bambino quando le ha dato l'ultimo bacio. Sapevate che anche gli adulti piangono?
Lui, che a 80 anni si arrampicava sugli alberi per potare i rami, e quando lo rimproveravi ti guardava con nonchalance e ti diceva "Andava fatto, perché non dovrei?"
Lui, che non era certo un santo, ma era Giovanni.
Giovanni era mio nonno, e ora non c'è più.
In realtà la sua mente non c'era più da tempo, era già volata altrove, mentre il suo corpo restava aggrappato alla vita con la stessa tenacia con cui ha vissuto. Un giorno era lui, divertente, malinconico, arrabbiato dopo essere rimasto solo a ottant'anni, ma sempre lui. Il giorno dopo non c'era più, portato via da qualcosa che non si può curare senza danneggiare qualcos'altro, e allora che fai?
Lo condivido con voi non per voglia di esibizionismo, ma per necessità: ho il bisogno fisico di mettere in ordine le parole che mi vorticano nel cervello, che mi hanno tormentato questa notte e non mi hanno fatto dormire. Parole che so non riuscirò a coordinare in un discorso coerente, parole che se pronunciate non hanno lo stesso significato. Parole che se dette sembrano terribili, eppure sono vere.
Perché Giovanni, negli ultimi due anni di vita ci ha messo di fronte a una verità tremenda: noi non vogliamo invecchiare, per non finire totalmente rincoglioniti su una sedia a rotelle, imbottiti di farmaci per sopravvivere, senza vivere davvero. Non vogliamo sapere che nelle vite delle persone che abbiamo amato e ci amano, non c'è spazio per seguirci ventiquattr'ore su ventiquattro, anche se loro vorrebbero e sono stati schiacciati dal senso di colpa. Schiacciati fisicamente. Non vogliamo sapere che il giorno dopo che saremo finiti lì, qualcun altro avrà occupato la nostra casa e l'avrà resa irriconoscibile, tanto noi non torneremo mai più.
Questa è l'ultima dura lezione che ci ha lasciato e ci ha fatto paura. Io ho avuto paura.
Se fossi stata saggia, non avrei vissuto la mia vita come se lui non ci fosse già più, ma sarei andata a trovarlo più spesso. Ma con i se non si va da nessuna parte. E me lo dicevo già quando era ancora vivo, per costringermi ad andare alla casa di riposo. Ma faceva male anche allora: ogni volta che lo vedevo, mi sedevo vicino, mi giravo dall'altra parte e piangevo. Dove sei Giovanni? Mi chiedevo. Cosa ci fa qui il tuo corpo, mentre tu non ci sei? Sei tu una forma nuova di Giovanni, che io non riconosco?
Ti ricordi quel giorno di primavera, quando siamo usciti nel parco, e ho spinto la sedia a rotelle su per quella salita e quasi morivo per lo sforzo? E tu che mi prendevi in giro? Poi siamo arrivati in un angolo al sole, abbiamo raccolto un mazzo di viole di campo e mi hai stracciato alle carte. Cinque volte. Avresti dovuto farmi giocare meno con le bambole e più a briscola, non so manco contare i punti.
Sono le tue quelle mani. Ti ho fotografato con quell'aggeggio infernale che non capivi.
Ciao Giovanni, ti ricorderò nell viole di primavera, nel suono della fisarmonica che hai suonato per farmi ballare, nei muri della casa che hai costruito per la tua famiglia. Ti ricorderò nelle giornate di vento caldo, nell'odore del fieno e delle caldarroste che hai bruciato per me.
Adesso so che questi ultimi due anni sono stati il tempo che ci è stato dato per abituarci all'idea che dovevamo lasciarti partire. E' un bel regalo, non tutti sono così fortunati.
Ma fa un po' male lo stesso.
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